31 gennaio 2012

0054 [MONDOBLOG] Il denotatore digitale: Marco Brizzi

di Salvatore D'Agostino
«Nel 1999 (sic ndr 1995) nasce «arch'it», diretta da Marco Brizzi, tuttora la più solida e conosciuta tra le riviste di architettura online con base in Italia. Non è secondario che «arch'it» nasca a Firenze e leghi il proprio nome fin da subito a un festival annuale di architettura e media («Image»). Sembra una pietra filosofale, il detonatore digitale è piazzato proprio nel cuore di una delle facoltà di architettura meno disponibili all'innovazione e in un colpo solo riesce a mettere nel mirino di uno sguardo «aperto e disincantato» anche i rapporti tra architettura e media […] La bomba esploderà avrà successo, anche se a qualche anno di distanza si può dire che certamente ha creato dei nuovi poteri ma forse non è riuscita che marginalmente a mettere in crisi il sistema di potere che sembrava essere in grado di indebolire più a fondo. È certamente riuscita, però, a produrre due fenomeni.

Il primo è stato quello ovvio dell'emulazione, per cui negli anni successivi abbiamo dovuto assistere a un proliferare incontrollato di direttori self-appointed di riviste digitali, pronti a definirsi critici di architettura e spargere senza paura giudizi tranchant su questo e quel maestro e apprezzamenti quasi erotici su progetti di amici e conoscenti.

Il secondo, potenzialmente più rilevante, è stato quello di «far crescere» una generazione di critici e aspiranti critici (o teorici) dell'architettura, che trovano finalmente sulle pagine di «arch'it» quello spazio e quella libertà di selezione dei contenuti che le riviste e i giornali non sembrano voler concedere.» (Pippo Ciorra)1

Nel novembre del 2010 fa scrivevo*: 
«Dopo le ripetute incursioni nel mondo dei blog*, è arrivato il momento di mettere ordine tra le pagine scritte nel Web in questi anni.
Cominciamo a rispondere alla domanda posta qualche tempo fa su questo blog: chi è stato il pioniere dei blog di architettura?*

La risposta è: Marco Brizzi con  la creazione di arch’it nel marzo 1995  (aveva appena compiuto 28 anni).2

Arch’it è una semplice pagina bianca con pochi e chiari rimandi alle rubriche. In questi quindici anni ha ospitato gli scritti dei migliori critici/architetti  - e non solo – italiani. Mantenendo un registro critico e disinteressandosi all’aspetto ‘virale’ di internet o ‘all'estetica Web' del momento. Usando la rete come pagina d’approfondimento e non come campo di una rivoluzione in corso.
Per Arch’it il web log ha la stessa radice della pagina cartacea: la scrittura.
Di seguito il colloquio avvenuto nel pomeriggio del 14 luglio scorso con Marco Brizzi.

 Salvatore D'Agostino Questa è un'homepage del 1998, l'anno del tuo inizio come direttore editoriale di arch'it.
Quali erano le idee guida di quegli anni? 

Marco Brizzi Dove l’hai trovata, su archive punto org? 

Sì.

Bella!
Idee guida vere e proprie, per arch'it, ho preferito non definirne. C'erano, naturalmente, all'origine, delle scelte editoriali delle sensibilità, delle ipotesi. E molte domande. Nel seguire il lavoro avviato dai miei amici mi interessava sfruttare la Rete per misurarne la capacità adattativa, per porre dei temi e delle questioni che altre forme dell'editoria di architettura, in quel momento, non avevano interesse a porre. Nell'Internet stavano nascendo diverse attitudini e mi sembrava opportuno contribuire a stimolarle.

Quando si iniziano dei percorsi si stilano, non dico dei manifesti, ma dei punti programmatici. 

In questo caso le azioni sono state guidate in larga misura dalla spontaneità. Non un progetto editoriale vero e proprio, quindi, né qualcosa di simile. Per me arch'it si poneva in linea di continuità con lo spirito del gruppo che aveva fatto nascere quello spazio web nel 1995. Mi interessava mettere alla prova l'efficacia di alcuni temi. In questo senso, c'è stata una progressiva e variabile messa a punto delle idee; ed è questa, semmai, che ha descritto nel tempo un orientamento e, se vuoi, un percorso. Non ho sentito la necessità di produrre un manifesto. So che qualcuno è rimasto sorpreso nel non ritrovare sulle pagine di arch'it esplicite dichiarazioni che accompagnassero la mia conduzione. 

Il tuo lavoro su arch'it è simile al lavoro di un editore poiché, benché rari siano i tuoi scritti, interessanti sono i contributi che in questi anni sei riuscito a far pubblicare. Su arch'it hai dato spazio ai maggiori critici sia emergenti e non, sei un catalizzatore e divulgatore - in senso positivo - del dibattito sull'architettura?

Questa considerazione è interessante.
È vero, non mi sento di avere determinato un percorso rigoroso, semmai ho cercato di fare spazio e di accomunare delle figure che, concordo con te, ho avuto la fortuna di coinvolgere e che hanno contribuito alla costruzione di arch’it, molto di più di quanto non abbia fatto io.
Credo che questo abbia a che fare con la 'naturalità' del percorso compiuto. Percorso tanto naturale che a volte si è atrofizzato, a volte si è sviluppato con maggiore impeto, a seconda delle occasioni e anche delle disponibilità di tempo e d'animo delle persone che hanno collaborato al progetto.
Ho avuto la fortuna di non dovere sottostare a delle regole di mercato editoriale, cosa che ha comunque penalizzato, probabilmente, alcuni aspetti della rivista.
 

Arch’it è totalmente gratuita?

Si tratta di un lavoro di gruppo. E sono davvero numerose le persone che hanno collaborato alla rivista in maniera molto spontanea e generosa.

Rileggendo il tuo dialogo con Luigi Prestinenza Puglisi nel libro La generazione della rete ho avuto la sensazione che il giovane, cioè tu, cercava ti placare il web ottimismo del vecchio – anagraficamente - LPP. 
Riprendo la riflessione finale:
«L'accademia si afferma anche alimentandosi con l'avanguardia, talvolta fagocitandola. Nessuno di noi vorrebbe che questa generazione, un po' come quella descritta da Roman Jakobson alla fine degli anni Venti, dissipasse i propri poeti. Poeti e non poeti, i progettisti qui presenti (ndr A12, amgod#n, Alessandro Carbone, Centola & Associati, Cliostraat, Greco Onori Oppici, HOV; ma0/emmeazero, Mantiastudio, Gianluca Milesi, nicole_fvr/2A+P, Spin+, Stalker e UFO) sono alla ricerca di ambiti di produttività, di campi d'indagine e di azione. Hanno avvicinamenti molto diversi ai problemi che abbiamo sommariamente discusso, hanno idee distinte e progettano secondo criteri disomogenei tra loro. Ad accomunarli qui è l'appartenenza a una generazione che, consapevolmente o meno, contribuisce alla definizione di un ambito di sviluppo dell'architettura connaturato alla cultura della rete.»3 
A proposito di generazione e disomogeneità, due domande. La prima è un po' brutale, che fine ha fatto quella generazione della rete? 

La domanda è importante. Effettivamente la sensazione che qualcosa stesse accadendo -e che, se non si fosse percepita l'importanza del momento, qualcosa si sarebbe irrimediabilmente perduta- la sottoscrivo. E credo che, osservando oggi i processi che si sono succeduti, qualcosa si sia definitivamente perso; si è perso il momento dell'entusiasmo, della scoperta, della volontà d'impossessarsi di strumenti nuovi, di argomenti nuovi da trasferire nel mondo dell'architettura. Questo è durato un certo periodo, forse dura ancora oggi in qualche misura, ma non siamo più negli anni delle grandi speranze, che farei corrispondere al quinquennio 1995-2000. 

Che cosa è successo dopo?

Che alcune delle figure che hanno familiarizzato con la Rete, frequentandola per farla diventare un'effettiva risorsa, hanno avuto la capacità di continuare il loro discorso e di farlo crescere. Il Web è materia duttile, non può essere oggettivata o considerata uno strumento in se stesso definito e concluso. Si tratta a tutti gli effetti di un ambiente che si arricchisce di idee, di interpretazioni, di significati, che si strutturano attraverso l'uso. Tornando alla tua domanda, alcuni gruppi hanno poi cambiato il loro percorso per poi trovare nuovi canali nei quali scorrere. Altri hanno smesso di ricercare. Qualcuno è scomparso. Ma tutto questo è nella natura delle cose. Non ho pensato mai, in fondo, -e credo che fosse già argomento del dialogo con Prestinenza- che la rete fosse un ambiente esclusivo e confortante. 

La seconda la introduco con un aneddoto di Umberto Eco raccontato a Bologna il 15 maggio del 2011 (Costruire il nemico):
«Anni fa a New York sono capitato con un tassista dal nome di difficile decifrazione, e mi ha chiarito che era pakistano. Mi ha chiesto da dove venivo, gli ho detto dall'Italia, mi ha chiesto quanti siamo ed è stato colpito che fossimo così pochi e che la nostra lingua non fosse l'inglese.

Infine mi ha chiesto quali sono i nostri nemici. Al mio "prego?" ha chiarito pazientemente che voleva sapere con quali popoli fossimo da secoli in guerra per rivendicazioni territoriali, odi etnici, continue violazioni di confine, e così via. Gli ho detto che non siamo in guerra con nessuno. Pazientemente mi ha spiegato che voleva sapere quali sono i nostri avversari storici, quelli che loro ammazzano noi e noi ammazziamo loro. Gli ho ripetuto che non ne abbiamo, che l'ultima guerra l'abbiamo fatta cinquanta e passa anni fa, e tra l'altro iniziandola con un nemico e finendola con un altro.
Non era soddisfatto. Come è possibile che ci sia un popolo che non ha nemici?
Sono sceso lasciandogli due dollari di mancia per compensarlo del nostro indolente pacifismo, poi mi è venuto in mente che cosa avrei dovuto rispondergli, e cioè che non è vero che gli italiani non hanno nemici. Non hanno nemici esterni, e in ogni caso non sono mai in grado di mettersi d'accordo per stabilire quali siano, perché sono continuamente in guerra tra di loro, Pisa contro Livorno, Guelfi contro Ghibellini, nordisti contro sudisti, fascisti contro partigiani, mafia contro stato, governo contro magistratura – e peccato che all'epoca non ci fosse ancora stata la caduta del secondo governo Prodi altrimenti avrei potuto spiegargli meglio cosa significa perdere una guerra per colpa del fuoco amico.»4 
Non credi che gli architetti italiani, nel loro farsi la guerra, siano stati sempre - aggiungo fortunatamente - disomogenei? O meglio non credi che la bellezza dell’architettura italiana dipenda dalla sua frammentaria identità? 

Trovo l'esempio molto appropriato e mi convince la tua ipotesi. La nostra identità ha anche a che fare con l'atteggiamento individualistico che si ritrova anche negli ambienti dell'architettura. Può darsi, allora, che la caleidoscopica frammentarietà che descrive l'architettura in Italia si ricomponga poi sotto forma di una figura cangiante. Inafferrabile e incerta al punto da indurre ancora qualcuno a pensare che questo Paese sia favorevole alla  progettualità. A me, in fondo, piace pensare che sia così. Eppure questo individualismo non si traduce in una vera e propria conflittualità. La necessità del nemico sulla quale si è soffermato recentemente Eco potrebbe anche offrire occasioni di confronto e di crescita culturale. 
La crisi che affligge le nostre facoltà di architettura, per fare un esempio, è una crisi culturale. Al di là dell'implosione strutturale che le sta coinvolgendo -è di questi giorni la dibattuta questione di Palermo5- i luoghi dove si insegna l'architettura in Italia sono spesso carenti di programma e incapaci di una reale competitività. L'assenza, o la mancata identificazione, di un "nemico" contro il quale le giovani generazioni dovrebbero in qualche modo disporsi non alimenta dei nuovi percorsi culturali. 

Nella recente Festarch di giugno 2011* e a Firenze all'interno dell'evento pensare spazi contemporanei* a luglio 2011 insieme a Derrick de Kerckhove, Stefano Boeri, Luigi Prestinenza Puglisi, Joseph Grima, Marco Biraghi, Pietro Valle ed Elisa Poli avete riflettuto sull'apporto delle nuove tecnologie di comunicazione nell'architettura.
Che cosa è emerso? 

Si tratta di iniziative assai diverse per forma e dimensione. Ma forse le accomuna una certa attenzione al discorso che l'architettura può sviluppare nella città contemporanea. Il festival diretto da Stefano Boeri e che si è recentemente spostato a Perugia ha intimamente a che fare con il tema mediatico, anche se non lo affronta in maniera esclusiva così come invece fa BEYOND MEDIA,* la manifestazione da me diretta a Firenze e dedicata, dal 1997, all'esplorazione del rapporto tra architettura e media. Al contempo, il programma PENSARE SPAZI CONTEMPORANEI,* che ti ringrazio di avere preso in considerazione, è un progetto più errabondo: da una parte si preoccupa del ruolo della critica nell'architettura e dall'altra cerca di mettere in discussione e di frantumare il senso, o quello che resta di un senso sovente svuotato, di alcune parole che ricorrono in pubblicazioni di architettura.

Purtroppo in rete non ho trovato nessun approfondimento, neppure una sintesi su Abitare, promotrice di uno dei due incontri. M'interessa capire quello che è emerso.

Ho partecipato a uno degli incontri di Festarch, intitolato Architecture and New Media, con Joseph Grima, Stefano Boeri e Derrick de Kerckhove. Ho sentito di dover in qualche modo interpretare il messaggio che Joseph Grima aveva proposto nella sua triplice occasione dei "Critical Futures Debates" che aveva organizzato con Domus a Londra, Milano e New York. In quelle occasioni -tu sei consapevole di cosa si sta parlando perché hai partecipato all'incontro milanese- ricorreva l'interrogativo sulla capacità della Rete, in particolare dei blogger, di reinterpretare o ridefinire il ruolo della critica di architettura. Questo era il tema che mi sembrava più importante da discutere, tant'è che lo ho poi riproposto insieme a Elisa Poli in occasione del ciclo di incontri PENSARE SPAZI CONTEMPORANEI, chiedendo agli ospiti di discutere "dove si annida la critica". Mi sono domandato questo, forse ingenuamente, alla ricerca dei dispositivi critici più convincenti realizzati in Rete. La sensazione è che, specialmente se si guarda agli autori italiani, la qualità sia alterna e solo occasionalmente convincente. Non so se sei d'accordo con me su questo punto, ma ho l'impressione che spesso, dalle nostre parti, l'editoria di architettura in generale e il Web in particolare siano usati come mezzi di espressione di un protagonismo personale.

A tal proposito ho svolto una ricerca, perché penso che prima di elaborare una critica, bisogna guardarsi intorno, conoscere ciò che sta avvenendo e in questo caso percorrere la Rete.
Attraverso lo strumento inchiesta, ho aperto un'indagine inclusiva di voci della blogosfera inerente l’architettura italiana.*  Ciò che ne emerso è complesso e variegato, richiederebbe una risposta elaborata. Ti sintetizzo due temi sottesi ma contrastanti tra di loro.
Il primo tema è quello che Mario Perniola chiama degli incazzati in pigiama6. La rete italiana, specialmente negli ultimi cinque anni, si è rispecchiata nel peggio dei media generalisti tradizionali che spesso avallano e rilanciano i blogger incazzati in pigiama, ad esempio il blog di ‘Beppe Grillo’ e similari; blogger ormai diventati dei professionisti della rete, che difficilmente attivano delle sinergie positive, con contenuti soventi bloccati su parole chiave, nel caso dell'architettura sono: archistar, centro storico, periferia, non luogo, effetto x, y e z, ecomostro, bioX o ecoX, contro A o contro B, eccetera.
I numeri, sia di copie vendute che di accessi, sembrano premiare questo tipo d'informazione incapace di analizzare, approfondire, rilevare ciò che ci succede intorno.
I blog, reiterando i titoli urlanti dei giornali, si dimenticano di osservare il sottobosco creativo e meno frignante che esiste e resta invisibile.
Il secondo tema è costituito dai blog (anche temporanei) che vengono letti forse da pochi lettori ma, come ricordava il direttore del Censis,7 gestite spesso da persone che si ostinano a non omologarsi al peggio e, dal mio punto di vista, stanno producendo ricchezza.
Temo che i critici, in questo momento storico, non riescano ad osservare questi territori di energia latenti, pensano che la Rete sia costituita solo dagli incazzati in pigiama e dimenticandosi di osservare i percorsi blogger più lenti e rilevanti.

Esistono nel Web velocità diverse e diverse capacità di propagazione. Non un catalogo se non il Web stesso, che costantemente ricostruisce i propri molteplici indici intorno alle preferenze e agli interessi dei suoi utenti. La critica può manifestarsi in zone più o meno 'calde' e costruire intorno a sé imprevisti ambiti di interesse e di applicazione. Credo che per poter cogliere quello che accade in quelli che tu chiami 'territori di energia latenti' occorra maturare maggiori duttilità e capacità di osservazione. 

A proposito della convergenza del cartaceo con il Web, di recente, ho letto il libro di Marco Biraghi MMX Architettura zona critica e sono rimasto deluso dalla semplice trasposizione dei contenuti apparsi nel suo sito Gizmo.8 Un’operazione analogica.
Io penso che i due media, il libro e il Web, abbiano linguaggi distinti. Il Web ci offre una diversa profondità, la rete non è solo una pagina, è audio, video, link, immagine con tutte le sue infinite quotidiane varianti. È qualcosa d’informale ma nello stesso tempo profondo, dove si ci può incontrare. Queste peculiarità non possono essere trascurate, non possiamo più pensare di replicare degli articoli cartacei in rete. 

Il libro di Marco Biraghi sembra modellato su il BLDBLOG di Geoff Manaugh* che è anch'esso una trasposizione di testi prodotti per la Rete e poi messi su carta. Iniziative editoriali come questa testimoniano la presenza e la rilevanza di contenuti che, nati nel Web, possono soddisfare diversi mercati editoriali e raggiungere diverse comunità di lettori. Nel compiersi, queste contaminazioni o questi travasi, che sovente si realizzano nell'editoria degli ultimi anni, descrivono la variabilità dei linguaggi che appartengono a diversi ambiti di produzione. Questo perché, appunto, i contenuti sono condizionati dai luoghi in cui si offrono. Possono addirittura descriverli: se io scrivo qualcosa su Web risento, in qualche modo, della spazialità che essa mi offre. Mentre scrivo ho la percezione diretta del fatto che, quello che scrivo, lo sto scrivendo per una comunità amplissima, indeterminata e anche indefinita nel tempo.

Qualche anno fa Pietro Valle, uno degli autori che con maggiore impegno si sono rivolti ad arch'it, mi ha proposto di sviluppare un programma secondo il quale estrarre, sulla base di scelte curatoriali di volta in volta differenti, articoli contenuti nel grande deposito delle pubblicazioni della rivista, per dare luogo a dei volumi cartacei. Tale programma, consapevole dei variabili linguaggi usati, prevedeva la riscrittura dei pezzi stessi e il loro adeguamento alle esigenze e alle consuetudini della carta. Trovo ancora interessante l'esperimento fatto con "arch'it papers" -così si chiamava il progetto di cui è uscito un solo volume- e ritengo sia sempre opportuno tenere in considerazione la pertinenza di ciascun mezzo di comunicazione. In ogni caso credo di poter dire che arch'it ha spesso agevolato le pratiche di trascrizione e di migrazione di contenuti, andando talvolta contro quello che il senso comune suggerirebbe solitamente all'editoria. 

Infatti, non criticavo l’idea di trasporre i contenuti prodotti nella Rete in un libro, bensì l'idea di copia incollarli in direzione analogica. Mi convince l'approccio di Pietro Valle che riscrive in formato cartaceo ciò che è stato scritto in rete, operazione opposta a quella di Marco Biraghi, il suo libro sembra un patchwork di scritti proposti in rete, con l'aggravante dell'aggiunta degli elementi che ammiccano al linguaggio della rete: la manina dei link, le tag e il mi piace che non appartengono al linguaggio grafico di un libro. Trasporre la grammatica web in un libro, secondo me è un'operazione debole. Si sono mescolati due linguaggi diversi in un unico contenitore. Ad esempio il libro La generazione della rete del 2003 era caduto in questa trappola grafica ma erano anni di sperimentazione, quasi pioneristica. 

Questo è un punto molto importante sarebbe interessante svolgere un confronto diretto su questi argomenti magari in Rete?
Tu hai cercato di porre questi tuoi argomenti a Marco Biraghi? 

No. 

Penso che varrebbe la pena discuterne.

Dopo questa conversazione, possiamo ampliare il nostro dialogo. Sarei interessato a un dibattito attivo sui temi dell'architettura. Non bisogna pretenderlo, ma, se continuiamo ad invitare o magari ospitare nei nostri siti due o tre persone che la pensano alla stessa maniera, rischiamo l’autoreferenzialità di cui parlavi prima, rimanendo dei mondi isolati, atteggiamento ereditato dalle riviste cartacee dell'ultimo ventennio, incapaci di attivare un dialogo sui temi del contemporaneo e che hanno perso la tradizione dialogica che li vedeva confrontarsi spesso con precisi e importanti editoriali, penso a Pagano con Piacentini o Maldonado con Mendini.
La rete, in tal senso, ci offre altri canali, anche se a volte gli assalti degli incazzati in pigiama deviano il dialogo in un groviglio di parole chiuse, spesso ideologizzate che scadono nell'invettiva. Ma è indubbio che la Rete offre degli spazi nuovi, latenti e forse virtuosi.

Coltivare queste insoddisfazioni non può far che bene. Credo dovrebbero essere spinte al di là della ricerca delle configurazioni ideali o idealizzate riguardo agli usi dello spazio web. Gli strumenti e le forme di scrittura hanno una forte incidenza nella produzione dell'architettura. Il lavoro critico sull'editoria e sulle possibilità di pubblicazione dell'architettura è decisivo per la crescita della cultura del progetto. Questo atteggiamento trascende lo strumentario, benché aperto e formidabile, offerto da Internet. Occorre coltivarlo e incorporarlo nel pensiero progettuale. 

Condivido e penso che possiamo chiudere con quest'auspicio.
  
31 gennaio 2012
Intersezioni ---> MONDOBLOG
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Note: 
1 Pippo Ciorra, Senza architettura, Laterza, Roma-Bari, pp. 73-74 
2 per capire meglio la storia di arch'it vi suggerisco di leggere: Salvatore D'Agostino, 0053 [MONDOBLOG] Dadarch'it, Wilfing Architettura, 19 gennaio 2012* 
3 2A+P, Marco Brizzi, Luigi Prestinenza Puglisi, GR - La generazione della rete. Sperimentazioni nell'architettura italiana, Cooper & Castelvecchi, Roma, 2003, pp. 224-225.  
Interessante questa  breve storia dell'editore Cooper & Castelvecchi: «Il marchio editoriale Castelvecchi è stato fondato nel 1993 sull’onda di Internet, dei Cibernauti e della nuova cultura giovanile che ruggisce sul Web e nei centri sociali. Ha lanciato a suo tempo, nel 1995, due dei più noti «cannibali», che hanno pubblicato con Castelvecchi il loro esordio: Aldo Nove con «Woobinda» e Isabella Santacroce con «Fluo». Per non parlare del fenomeno Luther Blissett, che esordisce da Castelvecchi nel 1995 con «Mind Invaders», e impazza per tutti gli anni Novanta prima di trasformarsi nel collettivo Wu Ming. O del fantomatico Reverendo William Cooper, che con oltre ventimila copie vendute sdogana il «Sesso estremo» per un’intera generazione. Libro d’esordio castelvecchiano anche per il critico e scrittore romano allora 28enne Emanuele Trevi (in seguito da Einaudi, Mondadori, Laterza): è già un classico il suo Istruzioni per l’uso del Lupo, una lettera aperta a Marco Lodoli sulle aberrazioni della critica. Mentre la stagione dei centri sociali volge ormai al tramonto, sul finire degli anni Novanta Castelvecchi si dedica alla nuova generazione di pittori e artisti digitali italiani. Con il lavoro dei critici Gianluca Marziani (allora 27enne, autore del saggio «N.Q.C. Nuovo Quadro Contemporaneo») e Luca Beatrice e Cristiana Perrella (allora 30ntenni, autori di «Nuova arte italiana») e decine di altri critici e curatori, Castelvecchi pubblica i lavori di esordio della nuova generazione visiva e visionaria: suoi il primo libro di Matteo Basilé, di Alessandro Gianvenuti, di Giuseppe Tubi e decine di altri cataloghi di personali e collettive. E non mancano incursioni nel campo della nuova «Rave Culture», con libri dedicati alla trance elettronica, ai nuovi dj chimici e all’acid jazz grazie al lavoro di curatori come il dj romano Andrea Lai e il jazzista Francesco Gazzara».* 
4 Umberto Eco, Costruire il nemico, Testo integrale dell’intervento tenuto il 15 maggio 2011 a Bologna nell’ambito del ciclo di conferenze “Elogio della politica” curato da Ivano Dionigi presso l'Università di Bologna.*   
5 Per un approfondimento vi suggerisco di leggere un breve post di Antonino Saggio: Chiusura della Facoltà di Architettura di Palermo, Conferenze e talks of Architettura by Antonino Saggio, 15 luglio 2011. * 
6 Editoriale di Mario Perniola, Scrivere, scrivere… perché?, Agalma, n. 17, marzo 2009* 
7 Il direttore del Censis Giuseppe Roma in un recente convegno sui maggiori disturbi depressivi sociali degli italiani evidenzia come ne siano affette le persone più fragili ma a sua volta le più sensibili, poco ciniche quelli non accettano di omologarsi al peggio: «Proprio quest’ultima forma di reazione alla società del disordine e della confusione, che non è una forma di adattamento, ma l’espressione di una sofferenza individuale, può paradossalmente essere espressione di sana potenzialità. Disturbi psichici come segno di reattività, di non conformismo, di ribellione. La speranza è che correnti vitali nella società possano captare la reattività di sofferenza dei singoli e riconvogliarle verso una ripresa della consapevolezza sociale». Rita Piccolini, Soli, impauriti, 'barricati' in casa, Televideo, 15 giugno 2011.*   
8 Ciò che manca premessa al libro a cura di Marco Biraghi, Gabriella Lo Ricco, Silvia Micheli, MMX Architettura zona critica, progetto grafico Pupilla Grafik, Zandonai, Rovereto, 2010.* 

L'intervista fatta il quattordici luglio del 2011 è stata rivista e aggiornata il trenta gennaio del 2012. La foto animata è composta da frammenti di screenshot scattati, durante il dialogo avvenuto su Skype, da Salvatore D'Agostino.

26 gennaio 2012

0014 [FUGA DI CERVELLI] Colloquio Italia ---> Olanda passando per la Ruhr e Vienna con Luigi Pucciano

di Salvatore D'Agostino
Fuga di cervelli è una TAG non una definizione. La TAG è contenitore di diversi 'punti di vista' 

Salman Rushdie chiama patrie immaginarie1 i luoghi dove gli uomini sperano di migliorare la propria esistenza, abbandonando per volontà o per coercizione, i paesi di origine. Secondo Rushdie, chi abita nuove patrie è costretto a trovare nuovi modi di descrivere se stesso e di essere umano. Con Luigi Pucciano ho percorso alcune sue patrie immaginarie.

23 gennaio 2012

Vincenzo Consolo | Scilla e Cariddi

di Vincenzo Consolo*

   Ora mi pare d'essere, ridotto qui tra Pace e Paradiso, come trapassato, in Contemplazione, statico e affisso a un'eterna luce, o vagante, privo di peso, memoria e intento, sopra cieli, lungo viali interminati e vani, scale, fra mezzo a chiese, palazzi di nuvole e di raggi. Mi pare (vecchiaia puttana!) ora che ho l'agio e il tempo di lasciarmi andare al vizio antico, antico quanto la mia vita, di distaccarmi dal reale vero e di sognare. Mi pare forse per questi bei nomi dei villaggi, per cui mi muovo tra la mia e la casa dei miei figli. Forse pel mio alzarmi presto, estate e inverno, sereno o brutto tempo, ancora notte, con le lune e le stelle, uscire, portarmi alla spiaggia, sedermi sopra un masso e aspettare l'alba, il sole che fuga infine l'ombre, i sogni, le illusioni, riscopre la verità del mondo, la terra, il mare, questo Stretto solcato d'ogni traghetto e nave, d'ogni barca e scafo, sfiorato d'ogni vento, uccello, fragoroso d'ogni rombo, sirena, urlo. Inciso nel suo azzurro, nel luglio, nell'agosto, dalle linee nere, dai ferri degli altissimi tralicci, alti quanto quei delle campate ch'oscillano sul mare, dal Faro a Scilla, che sono ormai l'antenne verticali e quelle orizzontali, ritte come spade sui musi delle prore, delle feluche odierne chiamate passerelle. Ferme, in attesa, ciascuna alla sua posta, o erranti, rapide e rombanti, alla cattura del povero animale.

   Viene il momento allora, per i vocii e i frastuoni dei motori, sul mare (barbagliano parabrezza d'auto, di camion che lontano corrono lungo i tornanti della costa calabra, sopra Gallico, Catona; barbagliano vetri e lamiere dei grandi gabbiani, degli aerei aliscafi), sulla strada alle mie spalle, che corre, tra le case e il mare, giù verso Messina, il porto, fino a Gazzi, Mili, Galati, su verso Ganzirri, Rasocolmo, San Saba, viene il momento di rintanarmi.

   Mi metto allora a lavorare ai modelli in legno dello spada, azzurro e argento, tonno, alalonga, aguglie, ai modelli dei lontri veri, delle feluche antiche, a riparare reti e ritessere ricordi, miei, della mia vita, qui, sopra questo breve nastro di mare, quest'infinito oceano di fatti, d'avventure, o per il mondo.

   Sono nato (e chi lo sa più quando?) a Torre Faro, da rinomato padrone lanzatore, padre Stellario Alessi, terzo di cinque figli. I maschi, Nicola, Saro e io, di nome (solo di nome) Placido, ancora quasi lattanti, non lasciavamo in casa a nostra madre forchetta per mangiare, che legavamo in cima a una canna a mo' di fiocina per infilzare polipi bollaci costardelle, ogni pesce che per ventura capitava a tiro del nostro occhio e braccio. Era l'istinto che ci portava verso il mestiere, come aveva portato nostro padre, suo padre indietro, ci portava verso il destino del mare, dello Stretto, del pesce spada, sopra feluche e lontri, ci portava a lance, palamidare, palangresi.

   Nicola morì soldato e Saro nel suo letto, di spagnola. E io non mi ricordo più quando salii sul lontra e lanciai l'arpione la prima volta. Ho solo negli occhi la vista della draffinera, di quelle preziose del ferraro mastro Nino, che s'inchioda nella pelle lucida, colore dell'acciaio, nel cuore della carne, del pesce che s'impenna, che s'inarca, alta la spada sopra il fior dell'acqua, e s'inabissa, sferzando forte con la luna della coda, rapido sparendo con tutto il filo della sàgola, il filo del sangue che disegna la sua strada. Strada che finisce nella morte. Ho negli occhi la ciurma che lo tira in barca, grande, pesante, inghiaccato alla coda, la bocca aperta, la spada in basso, come un cavaliere che ha perso la battaglia; negli occhi, l'occhio suo tondo e fisso, che guarda oltre, oltre noi, il mare, oltre la vita. Ho nell'orecchio le voci di mio padre, i suoi comandi, le voci della ciurma: «Buittu, viva san Marcu binidittu!». Dopo la femmina, fu la volta del maschio, che s'aggirava, pesante e rassegnato, come in offerta, torno alla barca, a tiro del mio ferro.

   Da allora, ho negli occhi e nel ricordo una schiera infinita di pesci indraffinati, di spade a pezzi succhiate nel midollo, di teste, di pinne, di code resecate. 

   Mio padre, vecchio e privo d'altri maschi, privo ormai di vista e resistenza, fu costretto a scender dall'antenna, ad ingaggiare, per la stagione che arrivava, uno di Calabria, dove sono gli antennieri più acuti dello Stretto, pur se i comandi, in vista dello spada, li fanno in lingua tutta loro. «Appà, maccà, palè, ti fò...» urlano. 

   Il giovane, Pietro Iannì, che sempre da caruso era stato guida sulle postazioni delle rocche alte di Scilla, di Palmi, di Bagnara, sposò poi Assunta, mia sorella, e se ne tornò al paese. Fu per il loro primo figlio, pel battesimo, ch'io conobbi quella che divenne poi la mia sposa. Figlia di padrone di barche, padre Séstito, era picciotta bella e assennata. Muta e travagliante. Ma non di fora, come le bagnarote libere e spartane che vanno a commerciare pesce, intrallazzare sale, avanti e indietro sempre sui traghetti, ma, di casa, e al più sulla spiaggia, tra le barche dei suoi. Bruna, il fazzoletto in testa, gli occhi sfuggenti che spiavan di traverso, stretta alla vita, i fianchi dentro quel maremoto di pieghe della gonna, il busto che sbocciava in sopra ardito e snello: così m'apparve in prima a quella festa. Il matrimonio, con tutti gli accordi e i sacramenti, si fece nella chiesa bella del Carmelo, e il trattamento, nella casa capace della sposa. Fu quel giorno che mio padre, in presenza dei Séstito, pronunciò il testamento, disse che le barche, gli attrezzi per la pesca, tutto passava a me, ch'io sarei stato da quel giorno il padrone nuovo.

   Poco durò lo spasso per le nozze. Me la portai, Concetta, la mia sposa, nella casa nostra, lì vicino alla chiesa, davanti al monumento con l'angelo di marmo a cui la guerra tagliò di netto un'ala, in faccia alle barche nostre, al mare, alla rocca di Scilla dall'altra parte. Le feci conoscere Messina, il porto, con tutta la confusione dei bastimenti fermi, delle navi in movimento, dei ferribotti, la Madonna lì alla punta della falce, alta sopra la colonna, sopra il forte del Salvatore; il Duomo, dove restò incantata, a mezzogiorno, per il campanile e l'orologio, ch'è una delle meraviglie di questo nostro mondo: suonano le campane, canta il Gallo, rugge il Leone, la Colomba vola, passa il Giovane, il Vecchio, passa la Morte con la falce; sorge la chiesa di Montalto, passa l'Angelo, San Paolo, torna l'Ambasceria da Gerusalemme, la Madonna benedice... Me la portai per i viali, a Cristo Re, a Dinnammare, su fino a Camaro, a Ritiro, ai colli di San Rizzo. Ma lei, lei, sempre pronta, sottomessa, era però come restasse sempre straniata, come legata con la mente alla terra di là, oltre lo Stretto. E più mi dava figli (tre volte partorì in cinque anni) più sembrava crescere in lei il silenzio e lo scontento. C'era fra noi, che dire? come una distanza, uno stretto, una Scilla e Cariddi fra cui non si poteva navigare. Eppure, santissima Madonna!, la trattavo con ogni cura e affetto, l'adornavo di vesti, di ori; la portavo alla festa di Ganzirri, alla processione di San Nicola sul Pantano, alla trattoria di don Michele; e a Messina, alla festa dell' Assunta a Mezzagosto. Una volta tirai anch'io per voto (voto che si capisce quale fosse, d'avere finalmente quella donna, per cui potevo morire, indraffinato come un pescespada), tirai per la corda la gran Vara, scalzo, senza camicia, e lei accanto a me, sciolti i capelli, certo per un voto suo segreto che mai mi rivelò. 

   Un luglio, ad apertura della pesca, per l'ammalarsi dell'antenniere mio, fu lei a suggerirmi, come per caso, quel nome d'un parente suo lontano, Polistena Rocco, rinomato fra Bagnara e Scilla. E arrivò quest'uomo snello, alto, d'una chioma riccia come quella del gigante Grifone sul cavallo. Tanto che là, in cima, stava per tutte l'ore senza un cappello, solo riparo quel suo casco nero di chiocciole o di cozze. Lo vidi e l'odiai. Non so perché. Forse per il suo portamento, il suo sorriso, la fama per cui ognuno rideva e mormorava, d'una sua dote fuori d'ordinario, la fama, scapolo com'era all'età sua, di grande ladro, d'amatore tenace e senza cuore. Mi parve che Concetta, al suo arrivare, mi parve che appena appena mutasse nell'umore, nel modo suo di fare; parlava più frequente, con me, coi figli, sorrideva finanche qualche volta. L'odiai. E quando alzavo il braccio per colpire il pesce, che lucido e dritto guizzava sotto l'acqua con la spada, mi sembrava di colpire, di piantare in quell'uomo la draffinera. E il mare lo vedevo tutto rosso, poi argento, poi blu, poi nero come la notte. 

   Pel tempo che durò la sua presenza al Faro (due, tre estati, non ricordo), pur senza un segno, un fatto, un motivo vero, cresceva sempre più la mia pazzia, l'ossessione dell'inganno. E sì che non eravamo più di primo pelo, né io né quello né Concetta. Durò fino a quell'anno in cui cominciò il grande mutamento, l'anno vale a dire in cui passarono in disuso remi, lo ntri, feluche, si mutarono le barche in passerelle. E ci vollero quindi, per i motori, l'antenne, tanti soldi. Decisi per questo (ma forse fu una scusa) di sbarcare, disarmare tutto, licenziar la ciurma, il calabrese. 

   Per mantenere la famiglia m'imbarcai come marinaio, io padrone, sopra il Luigi Rizzo, il vaporetto che collegava Milazzo a Lipari, Vulcano ... Fuori dal porto, costeggiando la penisola del Capo, oltre il Castello, davanti alla casa di quell'ammiraglio che nella Grande Guerra era stato eroe, assieme a un poeta, per una impresa ardita contro il nemico, il battello che portava il suo nome, lanciava il fischio di saluto. Allora qualcuno, una serva, un parente, rispondeva sventolando dal terrazzo un panno bianco. Il battello d'estate era sempre pieno di turisti: scoprii così il mondo. Mi feci, per cancellar l'amore per Concetta, gran traffichiere, facile predatore di straniere. D'inverno, nelle soste a Lipari sotto il Monastero, nelle soste forzate per il brutto tempo, m'intrecciai con una di là, ché sono, le donne di quell'isola, svelte, calamitose, seducenti. 

   Tornavo al Faro, a casa, a ogni turno di riposo, tornavo per le feste. E lei, Concetta, era sempre chiusa nel suo mondo, sempre indifferente. In più ora sembrava solo presa dai figli, ch'erano ormai cresciuti e le davano maggior lavoro. 

   Il colmo della sua freddezza nei confronti miei lo provai un'estate. Forse per sfida o forse nell'intento di smuoverla allo scontro, portai una straniera fino a Torre Faro, fino alla punta estrema del Peloro, all'incrocio dei mari, dove la rema forma i gorghi, quelli che la tedesca chiamava del mostro di Cariddi. Passammo davanti alla mia casa. Lei ci vide, da dietro la finestra, ed ebbe come un riso di sprezzo, di compatimento. 

   Dopo quel fatto, decisi di sbarcare, di tornare al mio mestiere della pesca. Anch'io, come gli altri, misi da parte remi e lontri, comprai un motore per la mia feluca e cominciai a correre, a inseguire lo spada sullo Stretto. Avevo preso un'antenniere nuovo di Fiumara Guardia, e il mio braccio di vecchio lanzatore era tornato ad essere forte e preciso come nel passato. Fu in uno di questi erraggi, nell'inseguire il pesce dalla posta mia, che mi scontrai con una passerella che per abuso aveva catturato il pescespada. Lì, sull'antenna della feluca pirata, rividi allora dopo tanto tempo il calabrese. La questione della preda fu portata davanti al Consiglio, che sentenziò naturalmente a mio favore. Ma al Polistena, che seppi era il padrone della passerella, feci sapere che il giudizio per me, oltre il Consiglio, era nel riparar lo sfregio col duello: che si facesse trovare sulla spiaggia, proprio sotto il Faro. Fu lì puntuale, come convenuto. Stavamo appressandoci, quando, a un passo l'uno dall'altro, cominciarono a fischiare sopra le nostre teste le palle dei fucili. Eravamo proprio sotto il campo del tiro al piattello. Ci buttammo per terra, la faccia contro la rena. E restammo così, impediti a muoverei, non so per quanto tempo. Ci spiavamo con la coda dell'occhio. Poi improvviso fu lui a ridere per primo, a ridere forte, e trascinò me nella risata, mentre i piatti in aria venivano dai colpi sbriciolati. Dopo, quando ci fu il silenzio, ed era quasi l'imbrunire, ci alzammo, ci guardammo in faccia. Fu lui, Rocco, a tendermi la mano. Non lo vidi più. Sparì dalla mia vista e dalla mia vita. Anche perché sparì in uno con Concetta tutto il rancore mio e la gelosia. 

   Mi disse lei, là all'ospedale Margherita, affossata nel letto, gli occhi negli occhi, la mano serrata nella mia: «Ah, Placido, come si può passare una vita senza capire!» 

   Da allora, quando mi lasciò la mia Concetta, sentii che cominciavo a farmi vecchio. Donai tutto, passerella e reti ai miei figli, lasciai il Faro e venni qui ad abitare in una nuova casa. 

   Ora mi pare d'essere, ridotto qui tra Pace e Paradiso, come un trapassato... Ma vivo nei ricordi. E vivo finché ho gli occhi nella beata contemplazione dello Stretto, di questo breve mare, di questo oceano grande come la vita, come l'esistenza.

23 gennaio 2012
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Note:
* Racconto tratto dal libro Vincenzo Consolo, Neró Metallicó, Il melangolo, Genova, 1994, pp. 9-22. L'illustrazione a china è di Pino Di Silvestro.

19 gennaio 2012

0053 [MONDOBLOG] Dadarch'it

di Salvatore D'Agostino

Il prossimo dialogo sarà con Marco Brizzi tra gli artefici di arch'it* la prima web zine di architettura italiana. 
Per comprendere meglio i primi passi di arch'it, ricordo la geografia della rete del 1995, anno della sua comparsa. All'epoca erano stati ideati i protocolli per il World Wide Web; era stata coniata l'espressione surfing the Internet (navigare in rete); erano stati messi a punto i browser Mosaic, Netscape Navigator e la neo nata Internet Explorer; era stato inventato il sistema di compressione delle immagini JPEG; elaborato Java per potenziare l'interazione tra diversi oggetti; Yahoo! inizia a fornire servizi agli utenti semplificando l'accesso alla rete; eBay crea il mercato delle pulci della piazza telematica; Amazon vende tutti i libri del mondo senza preoccuparsi della loro qualità; IBM immette nel mercato i primi computer spinti da un processore a 64bit; Apple inizia la lotta contro Microsoft e il suo nuovo sistema operativo Windows 95 con i suoi Power Macintosh (5200LC, 6200, 7200, 7500, 8500, 9500) e PowerBook (550c, 190, 190cs, 5300, 5300c, 5300ce, 5300cs, Duo 2300c); Linux cerca di affrontare le lobby informatiche con l'open source, Evan Williams aveva 23 anni, Larry Page e Sergey Brin 22, Chad Hurley 19, Steve Chen 17, Jawed Karim 16 e Mark Zuckerberg 11.1

Nel 1995 un gruppo di studenti di architettura dell'Università di Firenze crearono una delle prime società di servizi Web italiane, Dada (Design Architettura Digitale Analogico) e nel marzo dello stesso anno lanciarono arch'it, web zine che dal 1998 sarà diretta, fino ad oggi, da Marco Brizzi.2




Uno dei fondatori Jacopo Marello ricorda:
«arch'it era nata come tributo di noi fondatori Dada all'architettura essendo al tempo giovani architetti, credo che arch'it sia uno dei siti più antichi della rete (con un google rank di tutto rispetto) e con la quasi assenza di cambiamenti nel layout, praticamente un modernariato di rete!».3
Per assaporare lo spirito dei Dada, pubblico un testo che di recente un altro fondatore Paolo Barberis ha trovato nei meandri della rete e pubblicato in una nota su facebook.4



DA DA - 1994 - Volevamo giocare a Pac-Man

DA
DA
(volevamo giocare a pacman)

(testo trovato per caso mentre)
(vagava su reti@totali@libere)

ma cosa stiamo dicendo che gli altri non stiano dicendo e poi si sa che tutti diciamo le stesse cose non facciamo altro che creare inquinamento sonoro e se diciamo cose che abbiano un qualche senso creiamo solo inquinamento semiosferico, che è quasi peggio

su queste basi decidemmo che non era il caso di stare zitti e che qualunque cosa facessimo non poteva peggiorare le cose

ricordo in particolare incontrandosi durante le nostre gare di net surfing sulle onde magnetiche che non potemmo fare a meno di convenire:
il solo modo per procedere fosse quello di incontrarsi fisicamente e di bere una birra

ci rendemmo ben presto conto che, visto che i nostri nomi durante le competizioni nascondevano sei persone dello stesso sesso, l’unica cosa da fare era di mettersi assieme in uno studio e di procedere sulle strade della ricerca e forse della professione

A distanza di anni sembrava impensabile che a quel tempo esistesse la possibilità di scegliere tra una progettazione su carta e una spaziale-artificiale ma allora la scelta preliminare fu in questi termini
SI ACCETTAVA DOPO LUNGHE DISCUSSIONI IL PRIMATO DEL FORMATO NUMERICO E SI RELEGAVA IN SECONDO PIANO L’APPROCCIO CHE A QUEL TEMPO SI IDENTIFICAVA COME TRADIZIONALE

Si conveniva innanzitutto che il comune denominatore fosse Space Invaders,* in particolare quei bunker verdi (ed erano colorati con il retino sullo schermo, lo stesso che ci avrebberp consigliato successivamente in un esame per ottenere in elicopia il seminativo-arborato) ci attraevano in maniera anomala.

Pensammo subito che, come esisteva uno schema per passare il primo livello (9+1+9+3+1+3), dovesse esistere sicuramente qualcosa che regolasse anche la composizione architettonica ma ci rendemmo in breve conto che la cosa presentava qualche difficoltà in più.

Dovemamo….຺ππ[àù@@¶@……]≠¡≠´÷`´‹‹÷÷´‹´‹¥÷¥‹‘~“‹~‘‘“«‘~‘‹¥÷‹´÷‹´÷`¡≠´øπ[¬[¬#[¬#@#……•………#][øπ¡øˆ¡øˆ¡`´≠´`÷´‹™æƒ∂ƒß∂€®∂∫昨æ惙∂®†∑∑©©√∫√˜˜µœ•…œπøœ•πœ[πœø••[≠œµµ´÷‹¥©‘‘“ß«åßΩ®∫™÷˜µ¨…øøπ¬#¬#¬π[π[π•π[•π[•πøø•[πø…[ø[øππø[πø•[ø[πø[πø…πø[πππøœ[πøπµ[πø[œøµπ¨œ¨™∫¨‹´´`´≠`¡≠¡≠]]πøœ¨æ™®€€€ΩΩΩ„«‘©™√昨¨µœøµøœµøœµ¨˜œ¨˜œ¨˜æ (FILE CORROTTO)

L’assunto era abbastanza chiaro, più ardua si sarebbe rivelata la pratica.

Partendo da pochi dati (digit-ali) a disposizione iniziammo ad accumulare softuer e arduer manipolandolo e smontandolo (senza peraltro riuscire mai a rimontarlo) nel tentativo di usarlo in modo non conforme alle regole scritte sul packaging.

E facendo questo volevamo anche guadagnarci!

Una scheda grafica crocifissa in ingresso era la rappresentazione simbolica del periodo.

Iniziammo a distanziare le nostre postazioni di lavoro essendosi ormai rivelato inutile il contatto fisico.

La trasmissione in tempo reale di qualsiasi dato (11101 010100 0100100 1001101 01011) ci permise con il tempo di abitare/lavorare a grandi distanze senza piu’ il fastidio di dover anche sopportare l’ingombro delle presenza fisiche.

Per anni abbiamo continuato a lavorare assieme per una nuova cultura della progettazione ciascuno disteso comodamente nel proprio letto (lo stesso da cui sto emettendo adesso per l’atrofizzazione progressiva degli arti non mi permette piu’ alcun movimento rilevante) incontrandoci virtualmente in spazi che ormai sono familiari anche alla cybercasalinga di Vigevano ma che per la cultura dell’epoca erano quanto di più complesso e affascinante si potesse immaginare.

Non so dire quanti fossimo in quell'epoca ne so quanti di no si possano ancora incontrare in giro per le nuove retitotalilibere ma qualche tempo fa mi sono accorto da piccoli dettagli che chi mi stava eliminando da secondo campionato pandistrettuale di COSMICBATTLE6D versione 6.4 era uno del gruppo originale: è stato davvero commovente.

Componenti originari del gruppo di ricerca DADA nell'anno della sua fondazione
Paolo Barberis
Marco Brizzi
Angelo Falchetti
Filippo Fici
Jacopo Marello
Alessandro Sordi

DADA progetta architetture e design e lavora attorno ai problemi sollevati dai nuovi mezzi di comunicazione e di rappresentazione offerti dalle nuove tecnologie
DADA svolge attività di ricerca e didattica curando seminari nella facoltà di Architettura di Firenze
DADA partecipa a concorsi di architettura
DADA collabora con poeti musicisti alla ricerca di nuove rappresentazioni artistiche
DADA ha avviato collaborazioni con idraulici, elettricisti e muratori

(pubblicato da Professione Architetto Luglio 1994) 

19 gennaio 2012
Intersezioni ---> MONDOBLOG
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Note:
1 Una cronologia meno sintetica:

Il sei giugno 1991 Jean Armour Polly* dialogando via mail con Brendan Kehoe* conia il termine "surfing the Internet" navigare in rete. In realtà, usa l'espressione "going net-surfing"* in seguito migliorata con "surfing the Internet", l'amico Brendan Kehoe fu l'autore della prima guida per i navigatori della rete (febbraio 1992): Zen and the Art of the Internet*

Il sei agosto del 1991 Tim Berners-Lee,* pubblicando una sintesi* del suo lavoro sul newsgroup alt.hypertext, aprì il World Wide Web al pubblico dominio.*

Nel settembre 1992 viene lanciato il sistema di compressione delle immagini JPEG (Joint Photographic Experts Group).

Il ventidue aprile 1993 Marc Andreessen* e Eric Bina* lanciano la versione 1.0 del primo browser per il World Wide Web: Mosaic.*

Nel febbraio 1994 David Filo* e Jerry Yang* idearono Yahoo!, la prima società rivolta al mondo del business e consumer fornitrice di servizi internet.

Il quindici dicembre 1994 Jim Clark* e Marc Andreessen* idearono Netscape Navigator*, il primo web browser.


Linus Torvalds, l’ideatore del sistema operativo open source Linux, il dodici marzo 1994 rilascia Linux 1.0 presentando la prima versione stabile all'Università di Helsinki (era il 16º livello di patch del kernel 0.99 rielaborato e messo a punto da liberi programmatori in tutto il mondo).

Il ventitré maggio 1995 James Gosling* insieme gli ingegneri di Sun Microsystems*  annunciano Java, un linguaggio di programmazione orientato agli oggetti aumentando l'interazione tra oggetti diversi.

Nel luglio 1995 Jeff Bezos* fonda Amazon, il primo store on-line di libri.

Il diciassette agosto 1995 Microsoft lancia Internet Explorer 1, un web browser a pagamento per il neo sistema operativo Windows 95.

Il sei settembre 1995 Pierre Omidyar* idea eBay, una marketplace che permette agli utenti la possibilità di vendere e comprare oggetti sia nuovi che usati.

2 Per approfondire la storia del gruppo DADA* vi suggerisco di leggere la pagina Wikipedia.*
Arch'it (qui una schermata originale del 1996) nel corso degli anni si è arricchito di alcune rubriche:

Lanterna Magica e Lettere da Fermo a cura di Ugo Rosa;
Artland curata da Elena Carlini e Pietro Valle;
Simple tech curata Walter Aprile & Stefano Mirti;
Interview di Marialuisa Palumbo;
Playgrounds di Alberto Iacovoni;
Parole Chiave di Giovanni Corbellini;
Coffee Break di Antonino Saggio;
Produzione di Bernard Cache e Marco Brizzi


e di molti testi scritti da:

2a+p, 5+1AA, Actiegroep, Alberto Alessi, Peter Anders, Alfredo Andia, Alessandro Archibugi, Ammar Eloueini, Baku, Francesca Balena Arista, Anna Barbara, Aaron Betsky, Esra Akcan, Anand Bhatt, Alberto Alessi, Alessandro Anselmi, Pier Vittorio Aureli, Aldo Aymonino, Silvia Banchini, Alessandra Belia, Alessandro Bianchi, Cecilia Anselmi, Marco Biraghi, Cesare Birignani, Gianfranco Bombaci, Michele Bonino, Andrea Boschetti, Alessandro Busà, Silvio Carta, Bernard Cache, Maria Vittoria Capitanucci, Domenico Cannistraci, Vittoria Capresi, Mario Carpo, Paolo Cascone, Anna Cornaro, Ailadi Cortelletti, Gilberto Corretti, Maristella Casciato, Massimo Banzi, Luciano Bolzoni, Gianfranco Bombaci, Cristoforo Bono, Michele Bonino, Alessandra Bordieri, Andrea Branzi, Giammarco Bruno, Lucy Bullivant, Maria Vittoria Capitanucci, Vittoria Capresi, Mario Carpo, Giovanna Carnevali, Luigi Centola, Ennio Ludovico Chiggio, Chiara Cibin, Pippo Ciorra, Luigi Coccia, Domenico Cogliandro, Stella Colaleo, Giorgio Conti, Stefano Converso, Anna Cornaro, Fabrizio Corneli, Matteo Costanzo, Michele Costanzo, Alessandra Criconia, Davide Crippa, Francesco Dal Co, Giovanni Damiani, Carlotta Darò, Domitilla Dardi, Cynthia Davidson, Giancarlo De Carlo, Brunetto de Batté, Carlo De Mattia, Monia De Marchi, Livio De Luca, Filippo De Pieri, Gabriella De Polo, Leila Di Gangi, Teresanna Donà, Alessandro D'Onofrio, Winka Dubbeldam, Ammar Eloueini, Luca Emanueli, Dora Epstein Jones, Alessandra Faini, Luis Falcón, Ida Farè, Elisa Ferrato, Paolo Ferrara, Filippo Fici, Marianna Forleo, Ernesto Luciano Francalanci, Alberto Francini, Bernhard Franken, Elena Franzoia, Claire Gaillard, Fabrizio Gallanti, Luca Galofaro, Francesco Garofalo, Francesco Gatti, Dario Gentili, Enzo Biffi Gentili, Gary Genosko, Gruppo Ghigos, Lucio Giecillo, David Gissen, Jorge Gorostiza, David Grahame Shane, Gruppo Suburbia, Andrea Guardo, Margherita Guccione, Stefano Guidarini, Heliopolis 21, James Hicks, Natasha Higham, Wolfgang Höhl, HOV, Massimo Ilardi, Lorenzo Imbesi, Alicia Imperiale, Richard Ingersoll, Filippo Innocenti, Fabrizia Ippolito, Reed Kram, Ania Krenz, LAB[au], Peter Lang, Claudia Lamberti, Giovanni La Varra, Raffaella Lecchi, Marco Ligas Tosi, Nicola Lunardi, Peter Lunenfeld, Greg Lynn, Peter Macapia, Rei Maeda, Giannino Malossi, Daniele Mancini, Elena Manferdini, Sergio Mannino, Sara Marini, Luca Marchetti, Michele Marrozzini, Giuseppe Marsala, Roberto Martignone, Laura Masiero, Roberto Masiero, Gabriele Mastrigli, Emanuele Mattutini, Gianluca Milesi, Patrizia Mello, Maurizio Meossi, Metogramma, Alexandra Midal, Martin Moeller, Luca Molinari, Luca Mori, Mauro Moro, Valerio Paolo Mosco, Simone Muscolino, Frédéric Nantois, Francesca Oddo, Manuel Orazi, Francesca Pagnoncelli, Axel Paredes, Stefano Pasetto, Anne Palopoli, Marialuisa Palumbo, Marcello Panzarella, Luca Paschini, Gianni Pettena, Alessandro Petti, Stephen Perrella, Emanuele Piccardo, Antoine Picon, Elisa Poli, Luca Poncellini, Gennaro Postiglione, Tommaso Principi/OBR, Nicolò Privileggio, Carl Pruscha, Luigi Prestinenza Puglisi, Marco Ragonese, Kester Rattenbury, David Raponi/HOV, Hani Rashid, Carlo Ratti, Bruno Reichlin, Yael Reisner, Alessandro Rocca, Lucio Rosato, Chiara Roverotto, Raffaella Sacchetti, Amanda Salud-Gallivan, Tomas Saraceno, Francesco Samassa, Francisco Sanin, Vittorio Savi, Enrico Scaramellini, Marco Scarpinato, Patrik Schumacher, Maddalena Scimemi, Antonella Serra, Adrien Sina, Luka Skansi, Alexis Sornin, Southcorner, Lars Spuybroek (NOX), Martino Tattara, Letizia Tedeschi, Diego Terna, Caterina Tiazzoldi, Gabriele Toneguzzi, Cristiano Toraldo di Francia, Marco Ligas Tosi, Annette Tosto, Elisabetta Trincherini, Valter Tronchin, Billie Tsien, Jennifer Turner, Hans Ulrich Obrist, Felicity D. Scott, Melissa Urcan, Giovanni Vaccarini, Marco Vanucci, Daniele Vazquez, Ada Venié, Annalisa Viati Navone, Yu-Tung Liu, Franco Zagari, Matteo Zambelli, Roberto Zancan, Roberto Zanon, Paola Zini, Giancarlo Zucca e Marco Zummo.

Nel marzo del 2003, Marco Brizzi entra nella cinquina dei finalisti della Medaglia d'Oro all'architettura italiana della Triennale di Milano (insieme a Sebastiano Brandolini, Carlo Olmo,Vittorio Gregotti e Pierluigi Nicolin) nella sezione critica, in seguito vinta da Pierluigi Nicolin.* Una notizia che animò, e forse arenò, la rete 'critica dell'architettura':
  • Mara Dolce, pseudonimo di un architetto donna ma anche uomo, romano ma anche parigino su antiTHeSi, contesta il valore critico di Marco Brizzi, per Mara Dolce quest'ultimo è un divulgatore non un critico. (Medaglia d'oro? del 29 aprile 2003).*
  • Ugo Rosa (l'ubiquo del web dell'architettura) in Coppe e medaglie: a Cesare quel che è di Cesare, del 9 maggio 2003 su antiTHeSi, difende Marco Brizzi: «E a Marco Brizzi, se me lo permette, un invito a rassegnarsi: fino a quando ci saranno questi monumenti equestri in circolazione lui mangerà la polvere. Ma che pretende? Di prendere una menzione senza averci il pedigree? Ma siamo matti? In fondo ha solo dato spazio a qualche mezza tacca che scrive d’architettura per spasso (parlo del sottoscritto, nessuno s’offenda), mica ai professoroni “della comunità scientifica” che, con fatica, dolore, sangue sudore e lacrime, partoriscono a puntate, pensieri e profezie sull'architettura di ieri, di oggi e di domani sui giornaloni e sulle gazzette. Perché alla fine, nonostante le chiacchiere sui nuovi media, “carta canta” e sul web ci scrivono solo i mentecatti…»
  • Antonino Saggio, come ricorda Gianluigi D'Angelo nel suo Channelbeta (Ricchi premi e cotillon, maggio 2003*), fa notare l'attività curatoriale, e quindi anche critica, di Marco Brizzi,  del festival Beyond media*. Nello stesso articolo, Gianluigi D'Angelo pensa che sia stato imprudente, da parte della giuria, inserire la scelta di un advicer.
  • Paolo G.L. Ferrara, in Critica sul web come al Drive In? del 18 maggio 2003 su antiTHeSi, invita ad un lavoro nuovo e maturo della rete, nel rispetto dei vari punti di vista.*
  • Enrico G. Botta, nei commenti, pensa che i critici emersi grazie al Web stiano ereditando i: «comportamenti tipici dell'accademia: la chiusura, l'autoreferenzialità, l'esclusione degli "altri"».*
Infine, vi segnalo (senza nota) un articolo pubblicato su newitalianblood il 22 marzo del 2003 dal titolo ARCHITETTURA SU INTERNET: TEMPO DI BILANCI? di Enrico G. Botta.*

3 Da uno scambio mail con Jacopo Marello del 12 luglio 2011
4 Pubblicata da Paolo Barberis sul suo profilo di facebook il 6 luglio 2011 alle ore 13.14.*

15 gennaio 2012

Carlo Fruttero

Carlo Fruttero, insieme a Franco Lucentini, non raccontava storie ma costruiva spazi e per creare spazi non servono idee ma utensili.
Vi ripropongono un testo tratto da un libro involontario su I ferri del mestiere, mai concepito dai due scrittori ma pensato e curato da Domenico Scarpa.# 

Note per un racconto didattico
di Carlo Fruttero e Franco Lucentini

   E cosi, è arrivato anche in Italia, prevedibilmente a Milano, il creative writing. Non abbiamo assistito al corso tenuto in quella vivace metropoli dal nostro amico Pontiggia, ma le sue lezioni saranno state di sicuro intelligenti, illuminanti. Gli abbiamo anzi suggerito di raccoglierle in volume, certi come siamo che un tal volume andrebbe a ruba. Gli iscritti - ci ha raccontato Pontiggia - erano gente già piuttosto articolata, professionisti, pubblicitari, politici, insegnanti, studenti e beninteso aspiranti scrittori, tutti consapevoli delle proprie artrosi e rugginosità linguistiche, tutti desiderosi di apprendere le ginnastiche ed eventualmente i segreti del mestiere. Numero chiuso a ottanta, ma a centinaia premevano per partecipare e non c'è dubbio che la cosa crescerà, verrà prima o poi estesa ministerialmente alle università di stato, diventerà normale materia d'insegnamento, come da decenni accade nelle università Usa.